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mercoledì 20 gennaio 2016

Ti chiedo il bis e tu lo sai di che

Rigoletto, Teatro alla Scala, 17 gennaio 2016

RigolettoLeo Nucci
Il Duca di MantovaVittorio Grigolo
GildaNadine Sierra
SparafucileCarlo Colombara
MaddalenaAnnalisa Stroppa
MonteroneGiovanni Furlanetto

DirettoreNicola Luisotti
RegiaGilbert Deflo
SceneEzio Frigerio
CostumiFranca Scarciapino
Coro del Teatro alla Scala
Orchestra del Teatro alla Scala


Non c'è persona oggi alla Scala che non parli del miracolo: alla prima del Rigoletto Leo Nucci ha concesso il bis. Che Nucci senza il bis di Si, vendetta non ci possa stare è risaputo, ma nel tempio della lirica i bis sono proibiti dai tempi di Toscanini, almeno ufficialmente. A parole tutti concordi: figurati se succede anche oggi. Ma perché non sperarlo?
Ok, in realtà nel foyer ho sentito parlare anche di ciccioli e di come si debba usare la carne del pover purscel (nel senso del maiale), ma è la mia prima volta alla Scala, mi sono concessa un incipit più glorioso.

Uno spettacolo degno delle mie migliori aspettative: quasi tutto perfetto e del quasi che perfetto non era non dirò nulla, perché sono ancora in stato di grazia.
Rigoletto non solo è storpio e gobbo, ma ha pure un ingombrante gemello siamese di nome Leo Nucci. Dopo più di 500 volte che interpreta il ruolo, l'ha assimilato, inglobato e fagocitato. Il Rigoletto di Nucci è IL Rigoletto e l'unico difetto che si può imputare al baritono bolognese è quello di esserne ben conscio.

Immagine rubata da milano.repubblica.it


Vittorio Grigolo sembra nato per fare il Duca di Mantova, così a suo agio per vocalità e interpretazione che a vederlo su quel comodo tavolone, mentre cantava birichino Bella figlia dell'amore, pure a me sono venuti pensierini birichinissimi. Applausone dopo La donna è mobile; solitamente mi infastidisce, oggi mi sono sperticata anch'io.

Menzione d'onore alla bravissima Nadine Sierra, al suo debutto scaligero. Non solo vocalmente perfetta, ma, per niente intimidita, ha saputo tenere a bada due mattatori schiacciasassi come Nucci e Grigolo.
Finisco ricordando che Carlo Colombara era al suo debutto come Sparafucile; ovviamente all'altezza, anche se non ha l'esatta voce che il ruolo comanda. Ma mica ci lamentiamo, ha una delle voci più belle dell'universo!

E poi com'è andata con la storia del bis? L'ha fatto! Col consenso di Pereira, miracolosamente apparso in barcaccia giusto per il secondo atto, che allarga le braccia e dà la sua approvazione. 


martedì 8 dicembre 2015

Un ballo in maschera senza il ballo in maschera

Il 15 aprile 1865 Abraham Lincoln veniva assassinato. Il luogo era il Teatro Ford di Washington. L'assassino era John Wilkes Booth, uno dei più stimati attori dell'epoca. Da tempo cospirava per rapire o uccide il presidente e capì subito che quella sera era la sua occasione. Era in scena Our American Cousine, brillante commedia in cui un ruspante americano incontra i suoi compassati parenti inglesi per rivendicare le sue proprietà. Booth non faceva parte della compagnia che si stava esibendo, ma conosceva bene quel teatro, quasi una seconda casa. Faceva parte di una famiglia di attori, fin dalla nascita sapeva riconoscere il momento in cui l'attenzione degli spettatori è rapita verso il palcoscenico. Infatti quella sera aspettò il climax dello spettacolo, aspettò il monologo del protagonista, dalla irresistibile comicità, entrò nel palco presidenziale e sparò alla testa dell'uomo che riuscì a far abolire la schiavitù negli Stati Uniti d'America. 

Spero di essere stata degna di Carlo Lucarelli nel racconto dell'avvenimento, ma perché l'ho scritto? Tanto per mettere in chiaro che Booth aveva una sensibilità molto più acuta verso il perfetto coupe de theatre rispetto a Nicola Berloffa. Un ballo in maschera del Teatro Sociale è stata una delle regie più fastidiose che abbia visto, dimostrazione che non c'è bisogno di essere provocatori per essere molesti, basta fare le cose ad minchiam canis. Sicuramente la mia scarsa salute di quella sera non ha aiutato ad apprezzare ciò che c'era di buono nella recita, tanto che ho deciso di andarmene alla fine del secondo atto, perdendomi il ballo in maschera. Per questo è inutile fare una recensione vera e propria, ma questo è uno di quei casi in cui le scelte registiche rovinano le performance degli artisti: la scenetta di Lincoln che viene ucciso uccide l'ouverture, Oscar vestit@ per la caccia alla volpe (?!?!?!??) con tanto di frustino orgogliosamente agitato distrae da tutto il resto e Ulrica che fa la maglia mentre invoca Satana concentra l'attenzione sulla sciarpetta della Roma.


IL TRIO Marchesini Solenghi Lopez - ridoppiaggio comico dei film "Quo Vadis" e "Via col vento" from Messer Cappellaio on Vimeo.

Rinuncio quindi a parlare dei cantanti, troppo infastidita per apprezzare chiunque.

giovedì 29 ottobre 2015

É nostra patria Genova

Simon Boccanegra, Carlo Felice, 25 ottobre 2015

Simon BoccanegraFranco Vassallo
AmeliaBenedetta Torre
Gabriele AdornoGianluca Terranova
FiescoMarco Spotti
Paolo AlbianiGianfranco Montresor
PietroJohn Paul Huckle

DirettoreStefano Ranzani
Regia e sceneAndrea De Rosa
AllestimentoFondazione Teatro La Fenice - Fondazione Teatro Carlo Felice
Maestro del coroPablo Assante
Coro Teatro Carlo Felice
Orchestra Teatro Carlo Felice

L'opera ambientata a Genova, allestita a Genova. Ovvio che il mio spirito corsaro mi riporti a Genova.

Regia che sceglie di mettere in scena i due elementi essenziali ma eterei dell'opera: Maria e il mare. Maria è un angelo bianco che appare in scena per vegliare su Amelia e Simone; il mare è un video proiettato sull'intera quinta, incombente su tutte le scene. Bello assai, ma non dà la sensazione di essere a Genova, non fra quei quartieri dove l'opera per buona parte è ambientata. Verdi lì abitava e ha fatto in modo che il mare sia così come lo si vive nei caruggi: presenza costante ma semi-invisibile. Suprema poesia per il mio cuoricino genovese, il mare, dentro le mura, si intravede solo nei piani alti del Palazzo Ducale, destinatario dell'estremo, solitario sfogo di Simone. So che invece avere il mare sempre davanti al naso è una scelta condivisa da molte produzioni differenti, ma è lontana dal mio modo di sentire. 
Per il resto il palcoscenico era dominato da un rettangolone kubrickiano, nero e imponente, che di atto in atto, con poche modifiche minimaliste, si trasformava nei vari palazzi. Gusto minimalista anche per i costumi. Tutti vestiti di nero, con i capelli lunghi e bianchi e dalla voce di baritono o basso... fortuna che conoscevo l'opera, perchè se mi fossi dovuto fidare dei miei sensi, dalla mia postazione in piccionaia, avrei fatto molta fatica a distinguere chi stava cantando. E forse non sono scampata a questo tranello, temo di aver applaudito più Paolo che Fiesco, quando avrei voluto fare il contrario.

Immagine rubata dal sito dell'Ansa

Temo che il cast artistico sia cambiato tre o quattro volte nel giro di un mese. Poco male per me, che ho scoperto in Franco Vassallo un Boccanegra da leccarsi i baffi. Alla fine gli ho urlato un sonoro e sentito braaavooo, ma se sapevo che era al suo repentino debutto nel ruolo gliene urlavo anche cinque o sei. Anche Marco Spotti, splendida voce, è stato un Fiesco di tutto rispetto; forse all'inizio uno spirito non troppo lacerato, ma poi altero e vendicativo così come dev'essere. Spicca su tutti però Gianluca Terranova, eroico Adorno, dalla voce squillante e dal temperamento... come dire... novecentesco, ecco! E comunque più gente c'era sul palco più le cose funzionavano, non a caso il concertato della scena del senato è stato applauditissimo per diversi minuti. 
Qualche scivolone nella direzione di Stefano Ranzani sembra abbia infastidito solo me.

Anatema finale sulla signora fra il pubblico che, dopo un lungo cambio scena, decide di scartare una caramella all'inizio dell'aria di Amelia. Io dico scartare una caramella perchè voglio essere razionale, in realtà il rumore che faceva è stato registrato dal mio cervello come l'inconfondibile struscio sulla confezione dei biscotti lagaccio quando fai colazione la mattina. 


venerdì 12 dicembre 2014

Tre opere in un mese: Nabucco a Como

Con dovuto ritardo, altrimenti non sarei io.

Nabucodonosor, Teatro Sociale di Como, 5 dicembre 2014

NabuccoPaolo Gavanelli
AbigailleTiziana Caruso
ZaccariaEnrico Iori
IsmaeleGabriele Mangione
FenenaRaffaella Lupinacci
Gran Sacerdote di BeloAntonio Barbagallo
AbdalloGiuseppe Distefano
AnnaSharon Zhai
DirettoreMarcello Mottadelli
RegiaAndrea Cigni
SceneEmanuele Sinisi
CostumiSimona Morresi
Light designerFiammetta Baldiserri
Maestro del coroAntonio Greco
Coro del Circuito Lirico Lombardo
Orchestra I Pomeriggi Musicali di Milano



Il Teatro Sociale è addobbato a festa, per domenica non ho preso impegni che c'è la Prima della Scala alla tv, ho un vestito nuovo e Broomhilde, la macchinina nuova, si guida che è una meraviglia. L'umore, insomma, è ottimo.

Non è il pienone della Prima a settembre, ma qui in galleria non c'è un buco libero: Verdi è Verdi e l'opera sua che tutti chiamano col nomignolo è un invito a nozze.
Si spengono le luci e parte l'ouverture. L'orchestra è stata chiaramente sostituita da una banda di paese che non ha avuto il tempo di provare, ma l'ottimo umore di qui sopra è innarrestabile, decido di prenderla con filosofia: da qui in poi si può solo migliorare.
Si apre il sipario e la vicenda NON è ambientata durante la Seconda Guerra Mondiale, pericolo scampato, lo dicevo che siamo in fase di miglioramento.

Immagine rubata dalla pagina Facebook del Teatro

Enrico Iori non ingrana come Zaccaria, nè voce nè interpretazione rendono l'idea del patriarca;  Gabriele Mangione (Ismaele) ha uno stile retrò nel canto che ho trovato irritante; Raffaella Lupinacci (Fenena) non pervenuta. Lo so, avevo detto che si migliorava, ora arriva.

Buona l'interpretazione di Paolo Gavanelli (Nabucco). In tutta onestà, forse in altri teatri non mi avrebbe soddisfatto in pieno, ma qui, abituata a sentire e vedere pischelli che non hanno (ancora) nel palcoscenico il proprio habitat naturale, la performance di Gavanelli spicca: è bello vedere sul palco qualcuno che sul palco ci sa stare. Mai una voce era arrivata così piena e sicura alla mia poltroncina della quinta galleria.
Chapeau alla Abigaille di Tiziana Caruso con make up vampiresco e di piume corvine ammantata. Parte impervia, regina fra le parti impervie, ma se l'è portata a casa, brava, bravissima!
Non a caso la parte migliore della recita è stata la scena del Donna chi sei? e seguito. Per me si potrebbe continuare così per tutta l'opera, solo Gavanelli e Caruso in scena, non sento la mancanza degli altri.

Regia di Andrea Cigni deludente: qui a Como avevo già visto uno splendido Ernani, traboccante di oro e maestosità, speravo in qualcosa di meglio per questo Nabucco. Sul palco ci sono fuoco, esplosioni e zampilli che manco a un concerto dei Kiss, ma, almeno dal mio punto di vista loggionesco, non che entusiasmino. E Cigni è deludente proprio lì dove era stato magistrale nell'Ernani: gestire il coro. Peccato capitale per il Nabucco, il coro vaga senza una meta precisa, si muove con la stessa placida obbedienza di una mandria di bovini, gira in tondo nella parte terza del primo atto, senza convinzione cammina verso il pubblico nei momenti clou. Il maledetto non ha fratelli? il coro compatto si muove verso Ismaele e il proscenio. Và pensiero? il coro compatto, con fiaccola accesa, si muove verso il proscenio

Il coro, difficile giudicare il coro. Vocalmente nel compito a casa si piglia la sufficienza, ma pathos zero. Tranquilli, il Và pensiero è stato il brano più applaudito, ma è come Vita Spericolata o Ruby Tuesday: non importa come viene eseguito, l'importante è che ci sia.

Menzione speciale per il tizio in platea che, all'ennesimo rumorino da criceto-nella-ruota che si sentiva durante i movimenti delle scenegrafie ha esclamato: "ma potrebbero dare dell'olio a quel coso!". Ilarità generale per tutto lo spettacolo, grazie di esistere. 

E ora lasciatemi barcarolare verso Les Contes d'Hoffmann

giovedì 28 novembre 2013

Avrò dunque sognato!

Rigoletto, Carlo Felice, 24 novembre 2013
RigolettoCarlos Almaguer
Gilda Cinzia Forte
Duca di Mantova Shalva Mukeria
Sparafucile Gianluca Buratto
Maddalena Nino Surguladze
Il Conte di Monterone Seung Pil Choi
Marullo Claudio Ottino
Borsa Enrico Salsi
Il Conte di Ceprano Alessio Bianchini
Direttore Fabio Luisi
Regia Rolando Panerai
Scene Enrico Musenich
Costumi Regina Schrecker
Allestimento Fondazione Carlo Felice


Bello, bello, bello! Ho scelto di andare a vedere il Rigoletto perchè volevo portarci i miei, che avevo già trascinato a vedere la Traviata; non essendo propriamente dei melomani, mi piaceva continuare con la trilogia verdiana, che in quanto a pop, si va alle stelle. Insomma, scelto per futili motivi, senza nemmeno spulciare interpreti e cast, ma quanta soddisfazione!

Intanto: Carlos Almaguer. Nonostante la mia propensione (o perversione?) a smaniare per voci baritonali proprio come la sua, mi era completamente sconosciuto. Ovvio che sono stata ben felice di colmare la lacuna. Il suo è stato davvero un buon Rigoletto: un bel vocione potente che però sapeva adattarsi a sfumature più drammatiche.
Conoscevo invece Cinzia Forte, ma non l'avevo mai vista dal vivo, quindi gran bella sorpresa vederla fra il cast. Brava. I duetti fra lei e Almaguer non deludevano le aspettattive, strappa-applausi assicurati! 

Nota di costume: la signora seduta di fronte a me (indebitamente, ha occupato un posto vacante) se l'è presa con la signora seduta dietro che ha osato appaludire Si, vendetta prima che l'orchestra avesse terminato. Come se fosse stata l'unica. Come se l'orchestra finisse in un delicato, malinconico sfumato. Come se il brano non fosse una PERFETTA macchina per far venire giù il teatro per l'entusiasmo del pubblico.
Devo ammettere che io non applaudo molto spesso, preferisco aspettare la fine della scena, mentre alla conclusione del pezzo chiuso applaudo solo in casi di ottima riuscita del brano e comunque, in effetti, aspetto che anche l'orchestra finisca. Però che il talebanesimo bayreuthiano arrivi a pretendere il silenzio assoluto alla fine del secondo atto del Rigoletto, bè, che cazzo, mo' si esagera! Fine nota di costume. 

Immagine rubata da gbopera.it


Bravi anche Gianluca Buratto (uno Sparafucile con le giuste note bassiiiisssssime, strappa-applausi anche queste), Nino Surguladze (Maddalena) e Seung Pil Choi (Monterone). Una mezza fetecchia (termine tecnico) il Duca di Mantova di Shalva Mukeria: per i primi due atti mio padre, che è sordastro (sua definizione) non riusciva neanche a sentirlo, per fortuna si è ripreso nel terzo atto, che se mi rovinava il quartetto potevo reagire molto male. 

Belle le scene e i costumi. Piacevole regia old style, personalmente a fine spettacolo ho osannato Panerai non tanto per la regia quanto per il solo fatto che esista. Geniale il cambio scena a vista nel primo atto, vedere i potenti mezzi del Carlo Felice in azione ha emozionato tutti; ho ritenuto gli applausi altrettanto naif che quelli fatti all'atteraggio di un aereo, però è stato indiscutibilmente bello. 

E la volete sapere una cosa? Mia madre ha preferito il Rigoletto all'eroico martirio amoroso di Violetta. Incredibile ma vero. Magari al prossimo giro la musica di Verdi riesce pure a farle digerire la truculenza del Trovatore, sono aperte le scommesse.

giovedì 30 maggio 2013

Io vivo QUASI in ciel

La Traviata, Carlo Felice, 26 maggio 2013

Violetta ValeryMariella Devia
FloraValeria Sepe
AnninaPaola Santucci
Alfredo GermontAtalla Ayan
Giorgio GermontRoberto Servile
GastoneEnrico Salsi
Barone Valdis Jansons
Marchese Claudio Ottino
Dottor Grenvil Christian Faravelli

Direttore Fabio Luisi
Regia Jean-Louis Grinda
Scene Rudy Sabounghi
Costumi Jorge Jara
Coreografia Eugénie Andrin
Allestimento nuovo allestimento in coproduzione con Opéra de Monte-Carlo


Voglio tanto bene al mio abbonamento alla lirica qui a Como, ma ritornare nella MIA città, nel più bello dei suoi tanti teatri e ascoltare la Devia mi istiga l'orgoglio ligure e soprattutto mi fa godere quasi fisicamente! Eh si, voglio tanto bene anche alle giovani cantanti della As.Li.Co, ma la Devia è la Devia, auguro a qualsiasi primadonna di riuscire ad avere anche solo la metà della sua perfezione tecnica!
Immagine rubata da ilcorrieremusicale.it
Sono riuscita a portare i miei per la prima volta a vedere l'opera e mio padre ha deciso di fare lo sborone e prendere i posti in  seconda fila. Ahimè, sono loggionista dentro e l'orchestra non riusciva ad arrivarmi come sono abituata: per tutto il preludio ho avuto la strana sensazione di dover alzare il volume in qualche modo. Peccato perchè dirigeva Fabio Luisi. A parte ciò, la seconda fila è fighissima e mi sono data un sacco di arie, in tutti i sensi! :)
Unico neo della giornata è che io volevo andare appositamente per sentire Rolando Panerai, che ascolterei volentieri sempre e comunque a qualsiasi età sua e mia. É stato sostituito da Roberto Servile, che purtroppo l'ha fatto molto rimpiangere (e che non si è presentato all'uscita finale). Bravo invece il tenore Atalla Ayan (e pure belloccio, via!).

Su Mariella Devia c'è poco da dire e molto da inchinarsi.  Certo, come sempre si nota che soprattutto è cantante (e che cantante!), basta vedere la scena della lettera: altre più istrioniche interpreti aspettano questo momento come quello del loro trionfo, ma la Devia non sembra del tutto a suo agio, ma quando riprende Addio del passato allora, come un albatros che ritorna nel suo elemento, spicca il volo! E il melomane ha tutto quello che ha sempre voluto ma non ha mai osato pretendere da Violetta Valery.  

La regia di Jean-Louis Grinda è stata gradevole, forse questa estate vedo un'altra rappresentazione con la sua regia e non mi dispiace. Solo l'inizio forse lascia qualche dubbio. Il sipario si è aperto ancora prima che iniziasse il preludio, con la scena ambienta in uno squallido bordello dell'800, dove la nostra Violetta giace, già ammalata, nell'attesa del dottore che deve abitualmente visitare le prostitute. Dottore che altri non è che Grenvil, che ve lo dico a fare.
Immagine rubata da primocanale.it
Durante l'esecuzione dell'ouverture abbiamo tempo di assistere alla visita e vedere l'entrata di un riccone che sceglie la Nostra e la veste con un ricco abito fucsia, a significare che da prostituta di bordello diventa mantenuta d'alto bordo. Non avendo mai letto il libro (devo recuperare, mannaggia!) ignoro se questo sia una strizzatina d'occhio a Dumas o una libera interpretazione del regista riguardo alla carriera di una cortigiana, fatto sta che col preludio poco c'entra.

Ecco, e ora che ho buttato giù qualche ricordo della recita ritorno nel mio cantuccio a vivere quasi in ciel.