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mercoledì 23 marzo 2016

A te svelai tutto il mio cor

Roberto Devereux, Teatro Carlo Felice di Genova, 20 marzo 2016

Regina ElisabettaMariella Devia
Roberto DevereuxStefan Pop
Duca di NottinghamMansoo Kim
SaraSonia Ganassi

DirettoreFrancesco Lanzillotta
RegiaAlfonso Antoniozzi
SceneMonica Manganelli
CostumiGianluca Falaschi
Maestro del CoroPablo Assante
Coro Teatro Carlo Felice
Orchestra Teatro Carlo Felice
Nuovo allestimento della Fondazione Teatro Carlo Felice - Fondazione Teatro La Fenice e Fondazione Teatro Regio di Parma

Mariella Devia è nata per cantare Donizetti, se poi si trova pure in stato di grazia l'emozione fino alle lacrime è assicurata. 
Il pubblico era già entusiasta prima ancora che si incominciasse, sulla fiducia. Fiducia molto ben riposta perché è stato tutto oltre le già alte aspettative. 

Bella la regia di Alfonso Antoniozzi che ci offre un Seicento maestoso pur nella scenografia essenziale di Monica Manganelli: un grande palco al centro della scena (teatro e patibolo, cos'altro può rappresentare meglio il periodo elisabettiano?) con pannelli goticheggianti e trono della regina semoventi che cambiano aspetto allo spazio con poche mosse. Menzione d'onore anche ai costumi di Gianluca Falaschi, che veste il coro di nero, uomini e donne tutti uguali e mascherati, e fa risaltare una Elisabetta regalmente d'oro vestita all'inizio dell'opera, così come stanca e anziana reggitrice delle sorti del mondo alla fine.

Immagine rubata da Ligurianotizie.it

Gli interpreti bravissimi hanno infiammato il pubblico. Ogni pezzo chiuso è stato applaudito anche per qualche minuto e in tutta onestà c'era anche chi applaudiva a caso, ben lungi dalla fine del brano. 
La Duchessa di Sonia Ganassi è ovviamente una garanzia, l'unica che sembra provenire dallo stesso pianeta della Devia, anche se ha dovuto lasciare il trono alla Regina. E se i due interpreti maschili devono ancora sbocciare del tutto sono stati molto bravi e giustamente applauditissimi: Stefan Pop un convincente Roberto e Mansoo Kim nel ruolo di Nottingham. Il duetto di quest'ultimo con la Ganassi mi ha estasiato: sarà che non posso fare a meno di tifare per il Duca che prima canta accorato di "puro cor degli angioli" e  di "santa voce d'amistà" e poi si ritrova cornuto, però io di quel duetto avrei chiesto pure il bis, non avessi peccato di lesa maestà. 

E poi lei, Mariella Devia, sublime, tragica, regale, struggente. Perfetta. 

Non resta altro che inchinarsi. 

sabato 30 gennaio 2016

Gioventù mia, tu non sei morta

La Bohème, Teatro Sociale di Como, 24 gennaio 2016

MimìMaria Teresa Leva
RodolfoMatteo Falcier
MarcelloSergio Vitale
MusettaFrancesca Sassu
CollineFabrizio Beggi
SchaunardPaolo Ingrasciotta
Benoit/AlcindoroPaolo Maria Orecchia

DirettoreCarlo Goldstein
RegiaLeo Muscato
SceneFederica Parolini
CostumiSilvia Aymonino
Maestro del CoroAntonio Greco
Coro OperaLombardia
Orchestra I Pomeriggi Musicali di Milano
Coproduzione Teatri di OperaLombardia
Allestimento del Macerata Opera Festival


Tutti abbiamo avuto vent'anni e a quell'età quasi tutti eravamo innamorati e in molti squattrinati. Credo sia per questo che per un regista è una tentazione troppo forte cercare di attualizzare la Bohème, nonostante la trama preveda ogni 5 minuti un particolare che diventa tremendamente anacronistico se si spostano gli avvenimenti anche di poco. Però alcune regie riescono bene e bisogna ammettere che questa di Leo Muscato, che trasferisce la vicenda durante il '68 parigino, se la cava piuttosto bene.

Dirò che all'inizio era proprio soddisfatta e avevo un sorrisetto ebete stampato in faccia, grazie soprattutto agli interpreti dei nostri quattro bohémiens, che rispetto ai maggiori interpreti di quest'opera hanno un vantaggio piccolo ma apprezzabile: sono giovani. Non è che essere giovani sia preferibile ad avere la voce di Armiliato, però devo ammettere che è stato divertente veder fare goliardate a chi ha qualche anno meno di me e da quel punto di vista è più credibile di chi ne ha qualcuno in più.

Un Momus discotecaro. Immagine rubata dal sito ufficiale del Teatro.


Per dovere di cronaca devo riportare che sia Rodolfo-Matteo Falcier che Mimì-Maria Teresa Leva hanno preso delle stecchuccette, che però ho perdonato perchè nel complesso sono stati bravi e appassionati. Ottime interpretazioni per Marcello-Sergio Vitale, Musetta-Francesca Sassu e Colline-Fabrizio Beggi che se l'è cavata egregiamente con la Vecchia zimarra.

Unica vera pecca della regia è stata la morte di Mimì. In ospedale. Mimì muore in ospedale, in sottoveste. In sottoveste e manicotto. Ho perdonato anche questo. 

martedì 8 dicembre 2015

Un ballo in maschera senza il ballo in maschera

Il 15 aprile 1865 Abraham Lincoln veniva assassinato. Il luogo era il Teatro Ford di Washington. L'assassino era John Wilkes Booth, uno dei più stimati attori dell'epoca. Da tempo cospirava per rapire o uccide il presidente e capì subito che quella sera era la sua occasione. Era in scena Our American Cousine, brillante commedia in cui un ruspante americano incontra i suoi compassati parenti inglesi per rivendicare le sue proprietà. Booth non faceva parte della compagnia che si stava esibendo, ma conosceva bene quel teatro, quasi una seconda casa. Faceva parte di una famiglia di attori, fin dalla nascita sapeva riconoscere il momento in cui l'attenzione degli spettatori è rapita verso il palcoscenico. Infatti quella sera aspettò il climax dello spettacolo, aspettò il monologo del protagonista, dalla irresistibile comicità, entrò nel palco presidenziale e sparò alla testa dell'uomo che riuscì a far abolire la schiavitù negli Stati Uniti d'America. 

Spero di essere stata degna di Carlo Lucarelli nel racconto dell'avvenimento, ma perché l'ho scritto? Tanto per mettere in chiaro che Booth aveva una sensibilità molto più acuta verso il perfetto coupe de theatre rispetto a Nicola Berloffa. Un ballo in maschera del Teatro Sociale è stata una delle regie più fastidiose che abbia visto, dimostrazione che non c'è bisogno di essere provocatori per essere molesti, basta fare le cose ad minchiam canis. Sicuramente la mia scarsa salute di quella sera non ha aiutato ad apprezzare ciò che c'era di buono nella recita, tanto che ho deciso di andarmene alla fine del secondo atto, perdendomi il ballo in maschera. Per questo è inutile fare una recensione vera e propria, ma questo è uno di quei casi in cui le scelte registiche rovinano le performance degli artisti: la scenetta di Lincoln che viene ucciso uccide l'ouverture, Oscar vestit@ per la caccia alla volpe (?!?!?!??) con tanto di frustino orgogliosamente agitato distrae da tutto il resto e Ulrica che fa la maglia mentre invoca Satana concentra l'attenzione sulla sciarpetta della Roma.


IL TRIO Marchesini Solenghi Lopez - ridoppiaggio comico dei film "Quo Vadis" e "Via col vento" from Messer Cappellaio on Vimeo.

Rinuncio quindi a parlare dei cantanti, troppo infastidita per apprezzare chiunque.

giovedì 29 ottobre 2015

É nostra patria Genova

Simon Boccanegra, Carlo Felice, 25 ottobre 2015

Simon BoccanegraFranco Vassallo
AmeliaBenedetta Torre
Gabriele AdornoGianluca Terranova
FiescoMarco Spotti
Paolo AlbianiGianfranco Montresor
PietroJohn Paul Huckle

DirettoreStefano Ranzani
Regia e sceneAndrea De Rosa
AllestimentoFondazione Teatro La Fenice - Fondazione Teatro Carlo Felice
Maestro del coroPablo Assante
Coro Teatro Carlo Felice
Orchestra Teatro Carlo Felice

L'opera ambientata a Genova, allestita a Genova. Ovvio che il mio spirito corsaro mi riporti a Genova.

Regia che sceglie di mettere in scena i due elementi essenziali ma eterei dell'opera: Maria e il mare. Maria è un angelo bianco che appare in scena per vegliare su Amelia e Simone; il mare è un video proiettato sull'intera quinta, incombente su tutte le scene. Bello assai, ma non dà la sensazione di essere a Genova, non fra quei quartieri dove l'opera per buona parte è ambientata. Verdi lì abitava e ha fatto in modo che il mare sia così come lo si vive nei caruggi: presenza costante ma semi-invisibile. Suprema poesia per il mio cuoricino genovese, il mare, dentro le mura, si intravede solo nei piani alti del Palazzo Ducale, destinatario dell'estremo, solitario sfogo di Simone. So che invece avere il mare sempre davanti al naso è una scelta condivisa da molte produzioni differenti, ma è lontana dal mio modo di sentire. 
Per il resto il palcoscenico era dominato da un rettangolone kubrickiano, nero e imponente, che di atto in atto, con poche modifiche minimaliste, si trasformava nei vari palazzi. Gusto minimalista anche per i costumi. Tutti vestiti di nero, con i capelli lunghi e bianchi e dalla voce di baritono o basso... fortuna che conoscevo l'opera, perchè se mi fossi dovuto fidare dei miei sensi, dalla mia postazione in piccionaia, avrei fatto molta fatica a distinguere chi stava cantando. E forse non sono scampata a questo tranello, temo di aver applaudito più Paolo che Fiesco, quando avrei voluto fare il contrario.

Immagine rubata dal sito dell'Ansa

Temo che il cast artistico sia cambiato tre o quattro volte nel giro di un mese. Poco male per me, che ho scoperto in Franco Vassallo un Boccanegra da leccarsi i baffi. Alla fine gli ho urlato un sonoro e sentito braaavooo, ma se sapevo che era al suo repentino debutto nel ruolo gliene urlavo anche cinque o sei. Anche Marco Spotti, splendida voce, è stato un Fiesco di tutto rispetto; forse all'inizio uno spirito non troppo lacerato, ma poi altero e vendicativo così come dev'essere. Spicca su tutti però Gianluca Terranova, eroico Adorno, dalla voce squillante e dal temperamento... come dire... novecentesco, ecco! E comunque più gente c'era sul palco più le cose funzionavano, non a caso il concertato della scena del senato è stato applauditissimo per diversi minuti. 
Qualche scivolone nella direzione di Stefano Ranzani sembra abbia infastidito solo me.

Anatema finale sulla signora fra il pubblico che, dopo un lungo cambio scena, decide di scartare una caramella all'inizio dell'aria di Amelia. Io dico scartare una caramella perchè voglio essere razionale, in realtà il rumore che faceva è stato registrato dal mio cervello come l'inconfondibile struscio sulla confezione dei biscotti lagaccio quando fai colazione la mattina. 


mercoledì 7 ottobre 2015

Ora si che io son contenta

Le nozze di Figaro, Teatro Sociale di Como, 26 settembre 2015

FigaroAndrea Porta
SusannaLucrezia Drei
ContessaFederica Lombardi
ConteVincenzo Nizzardo
CherubinoCecilia Bernini
BartoloFrancesco Milanese
MarcellinaMarigona Qerkezi
BasilioMatteo Macchioni
BarbarinaGiulia Bolcato
AntonioCarlo Checchi

DirettoreStefano Montanari
RegiaMario Martone ripresa da Raffaele Di Florio
AllestimentoTeatro San Carlo di Napoli
Maestro del coroDario Grandini
Coro OperaLombardia
Orchestra de I Pomeriggi Musicali di Milano

Allestimento tradizionale per l'apertura della stagione operistica del Sociale a Como, dopo il Don Giovanni SUV munito dell'anno scorso ci voleva una purificazione mozartiana a base di cuffiette per la notte e jabot.
Palcoscenico che prosegue anche ai lati della buca dell'orchestra e che porta gli interpreti spesso in platea. Pubblico divertito e coinvolto, impossibile però non notare in barcaccia un bambino sull'orlo della catalessi e della crisi d'astinenza da Gormiti; bravo Andrea Porta-Figaro a coinvolgerlo in vari modi, quando si è fatto dare un bacino dopo uno dei tanti schiaffi che il povero Figaro si piglia durante la "folle giornata" ha sparso tenerezza per l'intero teatro.

Ouverture un po' troppo heavy metal, ma d'altronde il direttore è vestito per andare ad un concerto degli Iron Maiden, quindi ci sta. D'altronde avevo letto che Montanari fosse eclettico e direi che è pure un eufemismo, visto che oltre a dirigere suona il clavicembalo per accompagnare i recitativi (mettendosi la bacchetta infilata fra la schiena e la maglietta).
Tutti bravi gli interpreti, performance canore e attoriali senza sbavature. Menzioni d'onore per la verve di Andrea Porta, per la toccante Federica Lombardi-Contessa, e l'azzeccatissima interpretazione di Cecilia Bernini-Cherubino, che si becca i primi applausi a scena aperta della serata. 

Applausi lunghi e meritati alla fine, con Montanari che entra in scena senza aspettare che Susanna lo andasse a prendere. D'altronde, se non si fosse capito, la primadonna era sicuramente lui. 

sabato 25 aprile 2015

Buon 25 aprile

Sono così indietro coi post che forse vincerò il premio "Blogger più scarsa della storia".

Nell'attesa, buon 25 aprile!

domenica 18 gennaio 2015

Farfalla al volo

Teatro pieno come un bibino: nemmeno un palco vuoto. Ogni volta che c'è Puccini, tutta Como esce di casa. E quindi mi inchino a questo amore fra la mia città di adozione e il grande compositore e, sebbene non avrei nemmeno il tempo per farlo, un mini-resoconto in poche righe lo scrivo lo stesso. 

Bravissima Cio-cio San, Cellia Costea, che deve aver sentito il disco della Callas fino allo svenimento, ma che ancora deve imparare a lasciarsi andare, che la Butterfly deve essere anche commovente. Meno bravo Pinkerton, Giuseppe Varano, ma anche lui avrà tempo per perfezionarsi. D'altronde mi sembra di molto migliorato il direttore Giampaolo Bisanti rispetto a quanto aveva diretto negli anni scorsi.   

Bella la regia di Giulio Ciabatti e le scene e i costumi di Pier Paolo Bisleri, abbastanza giapponesi da godere dell'eleganza del Sol Levante, abbastanza occidentali da mettere a proprio agio. Certo, le italiane possono imitare una giapponese dalla vita in giù, perchè non avranno mai quella camminata (mi' cognata è giappo, so de che parlo); pure lo zio Bonzo conciato da teatro kabuki forse mi era un filino esagerato; ma io ho apprezzato tutti gli atti, anche senza seppuku

Solo un appello. Io non ho problemi, io vedo tutto il palco, ma non mi fate cantare Un bel dì vedremo all'estrema sinistra del palco, pure piuttosto indietro; in un teatro all'italiana, metà della piccionaia è spacciata, sono venuti qui apposta e non vedono una beneamata. 

Finito. Veloce come un battito d'ali, ma non altrettanto delicato.

martedì 13 gennaio 2015

Tre opere in un mese: la Tosca a Genova

Fra pranzi luculliani e acciacchi di stagione, ovviamente non sono riuscita a scrivere il resoconto entro dicembre, però eccovelo.

Tosca, Carlo Felice, 28 dicembre 2014

ToscaMaria Guleghina
Mario CavaradossiRudy Park
ScarpiaCarlos Álvarez
AngelottiGiovanni Battista Parodi
SagrestanoClaudio Ottino
SpolettaEnrico Salsi
SciarroneDavide Mura
Un carceriereCristian Saitta
Un PastorelloFilippo Bogdanovic - Sebastiano Carbone

DirettoreStefano Ranzani
Regia e sceneDavide Livermore
CostumiGianluca Falaschi
Orchestra del Teatro Carlo Felice
Coro del Teatro Carlo Felice
Maestro del CoroPablo Assante
Coro di voci bianche del Teatro Carlo Felice
Maestro del coro di voci biancheGino Tanasini
Nuovo allestimento del Teatro Carlo Felice di Genova



Il trascinamento annuale dei miei genitori all'opera a questo giro prevede la Tosca! Una volta ero molto più aficionada di musical che di opera, quindi concedetemi il paragone: la Tosca è un po' come il Jesus Christ Superstar; funziona sempre. Ecco perchè ci porto chi melomane non è.
Entro in sala e... e... che odore c'è? sembra di entrare in chiesa... un'opera in odorama!??!?!! Ebbene si, sul palco, a sipario abbassato, sono presenti decine di candele e il naso le percepisce prima degli occhi. Entrare nella giusta atmosfera ancora prima che il sipario si alzi è sempre gradevole.

Anche l'occhio, però vuole la sua parte e non rimane deluso dalla regia e le scene di Davide Livermore. Nel primo atto sul fondale appare la cupola di S. Andrea della Valle (o, almeno, a me sembra proprio quella), che spesso si anima facendo muovere la schiera di santi e nuvole; la Maddalena a cui lavora Cavaradossi ha la bellezza della Penitente di Guido Reni; durante il Te Deum il fondale mostra un Gesù crocefisso che riappare durante la tortura di Mario, orribilmente photoshoppato con rivoli di sangue; a E lucevan le stelle fa da sfondo un bel quadro che mostra una Roma notturna e ottocentesca, che starebbe a bacio anche in un Rugantino. Insomma, iconograficamente c'è carne sul fuoco.

Per tutti e tre gli atti i protagonisti si muoveranno su una struttura inclinata, dall'aspetto vagamente escheriano, che ruotando offre diversi punti di vista dello spazio. La sensazione di precarietà che ne deriva è senza dubbio affascinante, ma le teste degli interpreti sono talvolta a rischio di spatasciarsi contro qualche spigolo e immagino che ci voglia molta concentrazione per cantare al meglio mentre si cerca di salvare l'osso del collo.

Foto rubata dalla pagina Facebook del teatro


Ma, se la struttura è scivolosa, la regia è solida. All'inizio del secondo atto Scarpia entra e, con eleganza, porge mantella e parrucca al suo lacchè. Tiro un sospiro di sollievo: a Como, un paio di anni fa, Scarpia, ugualmente imparruccato alla settecentesca, sbatteva la cofana sul tavolo in un momento di rabbia, in stile Benny Hill.
Più avanti vediamo portare Cavaradossi nella stanza dell'interrogatorio, ovvero nel lato posteriore della struttura inclinata. Per un attimo temo che, grazie alle giravolte della struttura in questione, si vedrà il Nostro ogni volta che canterà e mi inizio ad agitare perchè io aborro quando ti ritrovi a cantare sul palco qualcuno che dovrebbe far arrivare la sua voce da dietro le quinte; mi disturba profondamente. Ma anche questo timore è infondato, giustamente sentiremo i lamenti del bel Mario senza vederlo, così come deve essere, così come lo sente Tosca.

Avevo sperato di beccare Gregory Kunde che debuttava nel ruolo di Cavaradossi, avrei anche sperato di beccare Kunde cantare lo Zecchino d'oro dopo che l'anno scorso mi ero persa l'Otello (maledetta tosse bastarda), ma anche senza Kunde, sono uscita dal teatro più che soddisfatta.
Maria Guleghina è una Tosca perfetta. Era stato annunciato che si esibiva nonostante stesse male, ma non ha sbagliato una nota, non si è mai risparmiata, mai un momento di debolezza fino all'ultima scena. Unico neo i suoi parlati. Non amo molto questi tradizionali parlati (anche se così fan tutte, lo so...), la Guleghina poi deve credere la marcatura della erre come un effetto particolarmente verista: "il prrrrrrrrrrrrrrrrezzo!" E giuro che non ho esagerato. Vi lascio immaginare "tremava tutta Roma". Ma, con la stupenda interpretazione che ci ha regalato, le si perdona questo piccolo vezzo.
Rudy Park l'aveva visto a Como in un bellissimo Ernani dove era stato davvero bravo. Forse la sua voce non è ideale per Cavaradossi, ma comunque una buona interpretazione. Dal secondo atto in poi gli acuti sono stati deboli, temo che la Guleghina non fosse l'unica con la gola in fiamme, ma forse era l'unica con la tecnica per cantare alla perfezione comunque. 

venerdì 26 dicembre 2014

Tre opere in un mese: Les Contes d'Hoffmann a Como

Les Contes d'Hoffmann, Teatro Sociale di Como, 21 dicembre 2014

HoffmannSebastian Ferrada
Lindorf / Coppelius / Dottor Miracle / DapertuttoAbramo Rosalen
Olympia / Antonia / GiuliettaLarissa Alice Wissel
NiklausseAlessia Nadin
Spalanzani / NathanaelRoberto Covatta
MadreNadija Petrenko
Crespel / LutherMariano Buccino
Andres / Cochenille / Frantz / PittichinaccioMatteo Falcier
Hermann / SchlemilVincenzo Nizzardo

DirettoreChristian Capocaccia
RegiaFrédéric Roels
SceneBruno de Lavenère
CostumiLionel Lesire
CoreografoSergio Simòn
Maestro del coroDiego Maccagnola
Coro del Circuito Lirico Lombardo
Orchestra I Pomeriggi Musicali di Milano



Nel foyer, nei corridoi, fra le poltroncine, dai parapetti, un unico mormorio fra gli abbonati: "Questa è quella della Barcarola!". Con la B maiuscola, perchè è la barcarola per eccellenza. Come gli spettatori del Colosseo bramavano sangue, così quelli del Sociale di Como vogliono lei: la Barcarola.

Leggo in cartellone che questo pomeriggio le varie donne amate da Hoffmann saranno interpretate dalla stessa cantante (Larissa Alice Wissel, davvero molto brava), cosa che mi rende felice assai, preferisco di gran lunga le versioni dove lo stesso soprano è presente in tutti gli atti, mi sembra abbia più senso.

Si spengono le luci, la musica ha inizio, glu glu glu, nessuna Musa si presenta. Che fine ha fatto la Musa? Non lo so, io l'ho cercata, giuro che l'ho cercata, ma non si è presentata. E non dev'essere l'unico taglio che ha dovuto subire il personaggio, perchè se è vero che non conosco quest'opera alla perfezione, mi ricordavo Nicklausse come uno dei protagonisti, degna antitesi del baritono cattivone, non come qualcuno che c'è o non c'è è la stessa cosa.

Non tutti sono qui per la Barcarola, io, per esempio, sono qui per quella che in letteratura, all'opera, nel balletto, al cinema e ovunque altro è la mia preferita: l'automa. Olympia o Coppelia, chiamatela come vi pare, ma lei sempre amo, in qualunque forma d'arte.
Per quanto mi riguarda Olympia DEVE essere una bambolina, deve muoversi da bambolina e avere lo sguardo fisso di una bambolina. Una delicata, leziosa, scattante bambolina da carillon. In caso contrario perde di senso la sua canzone, che senso non ha se non quello di essere una splendida dimostrazione di meccanismo inceppato, una vera e propria canzone a manovella, per dirla con Capossela. Quando un vero automa, con la stessa pertubante perfezione di questi, potrà esibirsi come Olympia allora concederò che non si muova come un robot. Finchè è un umano a cantare Les oiseaux dans la charmille pretendo che renda palese l'artificialità del personaggio che interpreta. E indovinate? Qui non è così.

Immagine rubata dalla pagina Facebook del Teatro

Robot con il look di Lady Gaga appaiono i membri del coro, che qui si sono rifatti rispetto all'ultima volta. Nell'opera che necessita la verve di un'operetta il coro se l'è cavata discretamente, ha ballucchiato e in questo episodio in particolare si è cimentato nella delicata arte dell'imitazione di un robot e alcuni erano spigliati, altri sembravano più degli zombie... ma nel complesso bravi!
Per l'episodio di Olympia coro buono, solisti ottimi, regia deludente. Dov'era la mia bambolina?

Dopo la pausa, si riprende ed ecco le note di Belle nuit, ô nuit d'amour. Ma non doveva essere il terzo racconto? Ho una forma di smarrimento estremo, doveva essere il terzo racconto, che ci fa qui? CHE CI FA QUI? Mi sento come se avessi trovato la ciotola del cane dentro l'armadio: forse c'è una spiegazione razionale, ma non la trovo, quindi deve essere il mio cervello che non funziona. A un certo punto non resisto a questa sensazione di inadeguatezza e lemme lemme, odiandomi un po' ma convinta di salvare così la mia sanità mentale, tiro fuori lo smartphone e cerco su wikipedia. Ed in effetti non sono io folle, quello di Giulietta è il terzo episodio. Rimango nel dubbio. Dov'è il secondo racconto? Lo eliminano come la Musa? Lo mettono dopo? Perchè? L'ho scoperto più sotto.

Non so dirvi com'era l'episodio veneziano proprio a causa di questa sensazione orribile che mi ha pervaso. Ricordo che gli uomini del coro erano vestiti da Iene con la parrucca bianca (perchè siamo nel Settecento... ?!??) e le donne stavano sfilando (perchè siamo a Venezia... ?!??!????), poi basta, il vuoto. In compenso ho profondamente elaborato tutti i motivi per cui quello di Giulietta deve essere l'ultimo episodio:
  • perchè Hoffmann riesce a riavere la famosa chiave che Lindorf gli aveva sottratto. E uccidendo un altro uomo, per di più.
  • perchè è carino che Dapertutto sia effettivamente già stato dappertutto
  • perchè è l'episodio più fosco, senza siparietti, nè, esclusa la dolcezza della Barcarola, smancerie. Se l'amore per Olympia è condannato perchè lei è un'automa e l'amore per Antonia è condannato perchè è condannata lei stessa, l'amore per Giulietta è condannato perchè è lei che ha voluto, lei è la vera femme fatale che con coscienza porta l'uomo alla dannazione.
  • perchè è tanto bello che l'ultimo racconto finisca con la ripresa della Barcarola.

Immagine rubata dalla pagina Facebook del Teatro

Tempo che inizi il terzo atto e la mia mente è di nuovo qui. Tutti bravi anche nell'episodio di Antonia, in cui però Nicklausse è completamente assente, se non per gli ultimi istanti, in cui spunta fuori da non si sa dove per correre a chiamare un medico. D'altronde è stato un passante occasionale per tutta l'opera. Torna giusto in tempo perché il sipario si chiuda e lui/lei possa rimanere sul palco a cantare (perché arrivati a questo punto, finalmente canta!) accorate parole al Poeta.
Cercando il nome esatto del brano mi sono accorta che la maggior parte delle registrazioni di questo mondo mettono effettivamente prima Giulietta e poi Antonia; un tempo si usava così, ma conoscendo solo allestimenti moderni io ne ero completamente all'oscuro. Vorrà dire che cercherò su You Tube per colmare questa mia lacuna, ma lasciatemi dire che sono felice che ora si preferisca quello di Giulietta come racconto finale!

Torniamo nella taverna di Luther. Nel gran finale Nicklausse si spoglia dei panni che non ha mai vestito, come se non fosse la Musa che si scopre, ma il migliore amico di Hoffmann che gli si concede, effetto che non capisco se sia voluto o meno. Fine.

Bravi tutti, orchestra e cantanti. Menzione speciale per Abramo Rosalen, interprete del diabolico rivale di Hoffmann, e Matteo Falcier, che dall'aiutante di Spalanzani a il servo di Crespel, era presente in tutti e tre gli episodi restando sempre a proprio agio.

E ora, mancano solo due giorni alla Tosca di Genova, mi sa che dimenticherò il nostro amico Offenbach e le mie lacune molto presto... 

venerdì 12 dicembre 2014

Tre opere in un mese: Nabucco a Como

Con dovuto ritardo, altrimenti non sarei io.

Nabucodonosor, Teatro Sociale di Como, 5 dicembre 2014

NabuccoPaolo Gavanelli
AbigailleTiziana Caruso
ZaccariaEnrico Iori
IsmaeleGabriele Mangione
FenenaRaffaella Lupinacci
Gran Sacerdote di BeloAntonio Barbagallo
AbdalloGiuseppe Distefano
AnnaSharon Zhai
DirettoreMarcello Mottadelli
RegiaAndrea Cigni
SceneEmanuele Sinisi
CostumiSimona Morresi
Light designerFiammetta Baldiserri
Maestro del coroAntonio Greco
Coro del Circuito Lirico Lombardo
Orchestra I Pomeriggi Musicali di Milano



Il Teatro Sociale è addobbato a festa, per domenica non ho preso impegni che c'è la Prima della Scala alla tv, ho un vestito nuovo e Broomhilde, la macchinina nuova, si guida che è una meraviglia. L'umore, insomma, è ottimo.

Non è il pienone della Prima a settembre, ma qui in galleria non c'è un buco libero: Verdi è Verdi e l'opera sua che tutti chiamano col nomignolo è un invito a nozze.
Si spengono le luci e parte l'ouverture. L'orchestra è stata chiaramente sostituita da una banda di paese che non ha avuto il tempo di provare, ma l'ottimo umore di qui sopra è innarrestabile, decido di prenderla con filosofia: da qui in poi si può solo migliorare.
Si apre il sipario e la vicenda NON è ambientata durante la Seconda Guerra Mondiale, pericolo scampato, lo dicevo che siamo in fase di miglioramento.

Immagine rubata dalla pagina Facebook del Teatro

Enrico Iori non ingrana come Zaccaria, nè voce nè interpretazione rendono l'idea del patriarca;  Gabriele Mangione (Ismaele) ha uno stile retrò nel canto che ho trovato irritante; Raffaella Lupinacci (Fenena) non pervenuta. Lo so, avevo detto che si migliorava, ora arriva.

Buona l'interpretazione di Paolo Gavanelli (Nabucco). In tutta onestà, forse in altri teatri non mi avrebbe soddisfatto in pieno, ma qui, abituata a sentire e vedere pischelli che non hanno (ancora) nel palcoscenico il proprio habitat naturale, la performance di Gavanelli spicca: è bello vedere sul palco qualcuno che sul palco ci sa stare. Mai una voce era arrivata così piena e sicura alla mia poltroncina della quinta galleria.
Chapeau alla Abigaille di Tiziana Caruso con make up vampiresco e di piume corvine ammantata. Parte impervia, regina fra le parti impervie, ma se l'è portata a casa, brava, bravissima!
Non a caso la parte migliore della recita è stata la scena del Donna chi sei? e seguito. Per me si potrebbe continuare così per tutta l'opera, solo Gavanelli e Caruso in scena, non sento la mancanza degli altri.

Regia di Andrea Cigni deludente: qui a Como avevo già visto uno splendido Ernani, traboccante di oro e maestosità, speravo in qualcosa di meglio per questo Nabucco. Sul palco ci sono fuoco, esplosioni e zampilli che manco a un concerto dei Kiss, ma, almeno dal mio punto di vista loggionesco, non che entusiasmino. E Cigni è deludente proprio lì dove era stato magistrale nell'Ernani: gestire il coro. Peccato capitale per il Nabucco, il coro vaga senza una meta precisa, si muove con la stessa placida obbedienza di una mandria di bovini, gira in tondo nella parte terza del primo atto, senza convinzione cammina verso il pubblico nei momenti clou. Il maledetto non ha fratelli? il coro compatto si muove verso Ismaele e il proscenio. Và pensiero? il coro compatto, con fiaccola accesa, si muove verso il proscenio

Il coro, difficile giudicare il coro. Vocalmente nel compito a casa si piglia la sufficienza, ma pathos zero. Tranquilli, il Và pensiero è stato il brano più applaudito, ma è come Vita Spericolata o Ruby Tuesday: non importa come viene eseguito, l'importante è che ci sia.

Menzione speciale per il tizio in platea che, all'ennesimo rumorino da criceto-nella-ruota che si sentiva durante i movimenti delle scenegrafie ha esclamato: "ma potrebbero dare dell'olio a quel coso!". Ilarità generale per tutto lo spettacolo, grazie di esistere. 

E ora lasciatemi barcarolare verso Les Contes d'Hoffmann

martedì 28 gennaio 2014

ATAKTH

Nel bel mezzo del trasloco, svegliata dal gatto che non riesce ancora a capacitarsi di essere in un nuovo ambiente, eccomi a scrivere il primo posto dell'anno. Post che stavo per pubblicare qualche settimana fa, che avevo iniziato ancora prima, ma che la febbre prima e il trasloco poi mi costringono a pubblicare solo in questa assonata mattinata.

Qualche giorno fa mi è capitato di vedere alla tv Passioni di John Turturro, davvero un bel film che mi ha fatto ballare tutta la sera e mi ha anche insegnato qualcosina sulla canzone napoletana. Tutto questo, per contrasto, mi ha fatto tornare in mente Indebito di Andrea Segre, film che avrei voluto commentare un po' di settimane fa, ma si sa, io sono molto atakti!

Diciamoci la verità, se mi sono impegnata ad andare in una di quelle tremende distopie fattesi realtà che sono i multisala era perchè mi aspettavo che una volta spente le luci venissi calata nell'affollata atmosfera di una taverna greca. Purtroppo avevo sbagliato: le riprese sono evidentemente state fatte quando ormai non c'era più nessuno a parte gli intervistati, i quali non dicono nulla di illuminante sul rebetiko, la Grecia o semplicemente loro stessi. E bisogna pure tenere conto che buona parte di loro appartiene al Pantheon personale di Vinicio, primi fra tutti Manolis Pappos/Zeus e Keti Deli/Hera.

Quello che invece ho gradito molto sono i sottotitoli delle canzoni. Tutto quello che io so di rebetiko lo devo al cofanetto sgreuzo di cd che avevo comprato all'ombra del Partenone un po' di anni fa, con una buona selezione di grandi classici del genere; conosco molte canzoni, ma non quello che queste dicono, sebbene mi sia trovata più di una volta a cantarle in coro in qualche taverna, come per esempio al Klimataria di Atene, una delle location più riconoscibili del film.

Intendiamoci, non sto dicendo che è un brutto film, tutt'altro. Sto parlando di ciò che mi aspettavo e ciò che invece è stato. La maggior parte delle persone che conosco sono state deluse della Gioconda...

La virtù innegabile del film è comunque fare conoscere un po' di rebetiko nello Stivale, anche se, ovviamente, se non hai gli avanzi della cena davanti e un signore baffuto che sgrana il suo komboloi vicino, non è vero rebetiko!

Io invece vicino avevo delle ragazze che non hanno per niente gradito la canzone che si sentiva fra la fine del collegamento con Capossela e Segre e l'inizio del film vero e proprio. La canzone in questione è tratta dal film Rembetiko di Costas Ferris. Scritto a due mani con Sotiria Leonardou, che interpreta anche la protagonista, narra la storia della mitica Marika Ninou. Contrariamente a quelle ragazze a me piace tantissimo e mi sono ingioiata tutta riconoscendola. Vi propongo il video e una mia traduzione, che però dovete prendere con le pinzette perchè è dall'inglese ed è quindi un doppio tradimento.

Quando un uomo nasce
il dolore nasce al suo fianco
Quando la guerra è al suo apice
il sangue non può essere contato

Brucio, brucio,
butta più olio nel fuoco
Annego, annego
buttami nel mare che è profondo

Lo giuro sui tuoi occhi
che per me sono come il Vangelo
la coltellata che mi hai dato
per te la trasformerò in una risata

Brucio, brucio,
butta più olio nel fuoco
Annego, annego
buttami nel mare che è profondo

martedì 24 dicembre 2013

Tancredi di Gioacchino Rossini

Tancredi, Teatro Sociale di Como, 8 dicembre 2013
TancrediTeresa Iervolino
AmeneideSofia Mchedlishvili
ArgirioMert Süngü
OrbazzanoAlessandro Spina
Direttore Francesco Cilluffo
Regia e sceneFrancesco Frongia
Costumi Andrea Serafino


Con tutto quello che mi è successo quest'anno, soprattutto per la totale precarietà della mia situazione questa estate, ho dovuto rinunciare all'abbonamento a teatro, snif! :( Ma appena ho potuto ho comprato i biglietti per le ultime due opere in programma ed eccomi qui a fare un piccolo resoconto del Tancredi di Rossini, che fu scritto proprio sulle rive del Lago. Un'opera che non conoscevo, che di certo non può fregiarsi del titolo di capolavoro rossiniano, ma molto piacevole. Da spettatrice neofita e superficiale non saprei giudicare con sicumera direzione e orchestra, devo ammettere che neanche me le ricordo molto bene (non perchè siano passate un paio di settimane, non avrei saputo dire neanche il giorno dopo). L'unico pezzo che in qualche modo ha lasciato il segno è stato il duetto fra le due protagoniste nel primo atto, L'aura che intorno spiri, toccante e virtuoso così come mi aspetto da Rossini

Immagine rubata dalla pagina Facebook del Teatro



L'allestimento che ho visto a Como ambientava la vicenda nell'estate del 1943. Come faccio ad essere così precisa? ma perchè alla fine dell'opera, nella bella terra di Sicilia, sbarcano gli Alleati! Idea che a me è piaciuta molto: il sipario si apre sulla piazza del paese che si sta preparando alla festa; divisi in due gruppi da una parte i contadini, il popolo di Argirio, dall'altra dei mafiosi armati fino ai denti, sodali di Orbazzano, gerarca fascista. La festa stessa è ravvivata da abiti tradizionali e dai tipici archi di luce delle feste paesane meridionali. Quando Ameneide viene condannata a morte è scortata da dei carabinieri e quando canta Giusto Dio, che umile adoro le viene incontro la processione di una Madonnina. Infine, come detto, l'esercito che Tancredi guida alla vittoria è proprio quello degli Alleati. Anche il carattere di Ameneide è più moderno rispetto alla tipica eroina ottocentesca, umile e ubbidiente: costretta a subire gli eventi si, ma che combatte fino all'ultimo; sceglie il martirio piuttosto che il tradimento, ma con "virile" fierezza. E sapete una cosa? Tutto questo funziona! Non distorce per niente l'opera come concepita da Rossini e librettisti, semplicemente, la modernizza. Altro che Tcherniakov, qui Frongia è riuscito con molto poco a rendere più attuale un'opera scritta due secoli fa e ambientata un millennio di anni orsono...

Immagine rubata dalla pagina Facebook del Teatro


Più volte durante l'opera vengono mostrati riferimenti visivi al teatro dei pupi, sia con pannelli artistici sia con il trucco dei protagonisti, che avevano i tipici guanciotti tondi e rosa da burattino. Durante la morte di Tancredi cala il sipario alle spalle dei Nostri, sipario che sembra proprio la versione gigante di quelli del teatro dei pupi e che guarda caso racconta la tragica storia di Tancredi e Ameneide. Bella idea!
Bravi gli interpreti. L'ultima volta che ho visto Rossini al Sociale di Como i cantanti rischiavano l'asfissia ogni due brani. Va bene, erano tutti giovani, l'Italiana in Algeri è difficilissima, quindi li si perdonava, ma ho davvero temuto che anche qui mancasse il fiato. Niente di tutto questo, brave soprattutto le due interpreti principali, Sofia Mchedlishvili (Ameneide) applauditissima e dagli acuti perforanti e Teresa Iervolino (Tancredi) che forse non è stata sempre all'apice ma mi è piaciuta molto. 

E ora avanti il prossimo.

giovedì 28 novembre 2013

Avrò dunque sognato!

Rigoletto, Carlo Felice, 24 novembre 2013
RigolettoCarlos Almaguer
Gilda Cinzia Forte
Duca di Mantova Shalva Mukeria
Sparafucile Gianluca Buratto
Maddalena Nino Surguladze
Il Conte di Monterone Seung Pil Choi
Marullo Claudio Ottino
Borsa Enrico Salsi
Il Conte di Ceprano Alessio Bianchini
Direttore Fabio Luisi
Regia Rolando Panerai
Scene Enrico Musenich
Costumi Regina Schrecker
Allestimento Fondazione Carlo Felice


Bello, bello, bello! Ho scelto di andare a vedere il Rigoletto perchè volevo portarci i miei, che avevo già trascinato a vedere la Traviata; non essendo propriamente dei melomani, mi piaceva continuare con la trilogia verdiana, che in quanto a pop, si va alle stelle. Insomma, scelto per futili motivi, senza nemmeno spulciare interpreti e cast, ma quanta soddisfazione!

Intanto: Carlos Almaguer. Nonostante la mia propensione (o perversione?) a smaniare per voci baritonali proprio come la sua, mi era completamente sconosciuto. Ovvio che sono stata ben felice di colmare la lacuna. Il suo è stato davvero un buon Rigoletto: un bel vocione potente che però sapeva adattarsi a sfumature più drammatiche.
Conoscevo invece Cinzia Forte, ma non l'avevo mai vista dal vivo, quindi gran bella sorpresa vederla fra il cast. Brava. I duetti fra lei e Almaguer non deludevano le aspettattive, strappa-applausi assicurati! 

Nota di costume: la signora seduta di fronte a me (indebitamente, ha occupato un posto vacante) se l'è presa con la signora seduta dietro che ha osato appaludire Si, vendetta prima che l'orchestra avesse terminato. Come se fosse stata l'unica. Come se l'orchestra finisse in un delicato, malinconico sfumato. Come se il brano non fosse una PERFETTA macchina per far venire giù il teatro per l'entusiasmo del pubblico.
Devo ammettere che io non applaudo molto spesso, preferisco aspettare la fine della scena, mentre alla conclusione del pezzo chiuso applaudo solo in casi di ottima riuscita del brano e comunque, in effetti, aspetto che anche l'orchestra finisca. Però che il talebanesimo bayreuthiano arrivi a pretendere il silenzio assoluto alla fine del secondo atto del Rigoletto, bè, che cazzo, mo' si esagera! Fine nota di costume. 

Immagine rubata da gbopera.it


Bravi anche Gianluca Buratto (uno Sparafucile con le giuste note bassiiiisssssime, strappa-applausi anche queste), Nino Surguladze (Maddalena) e Seung Pil Choi (Monterone). Una mezza fetecchia (termine tecnico) il Duca di Mantova di Shalva Mukeria: per i primi due atti mio padre, che è sordastro (sua definizione) non riusciva neanche a sentirlo, per fortuna si è ripreso nel terzo atto, che se mi rovinava il quartetto potevo reagire molto male. 

Belle le scene e i costumi. Piacevole regia old style, personalmente a fine spettacolo ho osannato Panerai non tanto per la regia quanto per il solo fatto che esista. Geniale il cambio scena a vista nel primo atto, vedere i potenti mezzi del Carlo Felice in azione ha emozionato tutti; ho ritenuto gli applausi altrettanto naif che quelli fatti all'atteraggio di un aereo, però è stato indiscutibilmente bello. 

E la volete sapere una cosa? Mia madre ha preferito il Rigoletto all'eroico martirio amoroso di Violetta. Incredibile ma vero. Magari al prossimo giro la musica di Verdi riesce pure a farle digerire la truculenza del Trovatore, sono aperte le scommesse.

venerdì 22 novembre 2013

Se 100 anni fa nasceva un genio

Non potevo esimermi dal ricordare il genio che nacque esattamente 100 anni fa.

Benjamin Britten, War Requiem Op.66

BBC Scottish Symphony Orchestra diretta da Ilan Volkov
Edinburgh Festival Chorus
National Youth Choir of Scotland
Solisti: Olga Guryakova (soprano), Christian Gerhaher (baritono), Mark Padmore (tenore)

Registazione dal vivo, Edimburgo, 3 settembre 2004



Ho un debole per la BBC Scottish Symphony Orchestra, sapevatelo.

giovedì 30 maggio 2013

Io vivo QUASI in ciel

La Traviata, Carlo Felice, 26 maggio 2013

Violetta ValeryMariella Devia
FloraValeria Sepe
AnninaPaola Santucci
Alfredo GermontAtalla Ayan
Giorgio GermontRoberto Servile
GastoneEnrico Salsi
Barone Valdis Jansons
Marchese Claudio Ottino
Dottor Grenvil Christian Faravelli

Direttore Fabio Luisi
Regia Jean-Louis Grinda
Scene Rudy Sabounghi
Costumi Jorge Jara
Coreografia Eugénie Andrin
Allestimento nuovo allestimento in coproduzione con Opéra de Monte-Carlo


Voglio tanto bene al mio abbonamento alla lirica qui a Como, ma ritornare nella MIA città, nel più bello dei suoi tanti teatri e ascoltare la Devia mi istiga l'orgoglio ligure e soprattutto mi fa godere quasi fisicamente! Eh si, voglio tanto bene anche alle giovani cantanti della As.Li.Co, ma la Devia è la Devia, auguro a qualsiasi primadonna di riuscire ad avere anche solo la metà della sua perfezione tecnica!
Immagine rubata da ilcorrieremusicale.it
Sono riuscita a portare i miei per la prima volta a vedere l'opera e mio padre ha deciso di fare lo sborone e prendere i posti in  seconda fila. Ahimè, sono loggionista dentro e l'orchestra non riusciva ad arrivarmi come sono abituata: per tutto il preludio ho avuto la strana sensazione di dover alzare il volume in qualche modo. Peccato perchè dirigeva Fabio Luisi. A parte ciò, la seconda fila è fighissima e mi sono data un sacco di arie, in tutti i sensi! :)
Unico neo della giornata è che io volevo andare appositamente per sentire Rolando Panerai, che ascolterei volentieri sempre e comunque a qualsiasi età sua e mia. É stato sostituito da Roberto Servile, che purtroppo l'ha fatto molto rimpiangere (e che non si è presentato all'uscita finale). Bravo invece il tenore Atalla Ayan (e pure belloccio, via!).

Su Mariella Devia c'è poco da dire e molto da inchinarsi.  Certo, come sempre si nota che soprattutto è cantante (e che cantante!), basta vedere la scena della lettera: altre più istrioniche interpreti aspettano questo momento come quello del loro trionfo, ma la Devia non sembra del tutto a suo agio, ma quando riprende Addio del passato allora, come un albatros che ritorna nel suo elemento, spicca il volo! E il melomane ha tutto quello che ha sempre voluto ma non ha mai osato pretendere da Violetta Valery.  

La regia di Jean-Louis Grinda è stata gradevole, forse questa estate vedo un'altra rappresentazione con la sua regia e non mi dispiace. Solo l'inizio forse lascia qualche dubbio. Il sipario si è aperto ancora prima che iniziasse il preludio, con la scena ambienta in uno squallido bordello dell'800, dove la nostra Violetta giace, già ammalata, nell'attesa del dottore che deve abitualmente visitare le prostitute. Dottore che altri non è che Grenvil, che ve lo dico a fare.
Immagine rubata da primocanale.it
Durante l'esecuzione dell'ouverture abbiamo tempo di assistere alla visita e vedere l'entrata di un riccone che sceglie la Nostra e la veste con un ricco abito fucsia, a significare che da prostituta di bordello diventa mantenuta d'alto bordo. Non avendo mai letto il libro (devo recuperare, mannaggia!) ignoro se questo sia una strizzatina d'occhio a Dumas o una libera interpretazione del regista riguardo alla carriera di una cortigiana, fatto sta che col preludio poco c'entra.

Ecco, e ora che ho buttato giù qualche ricordo della recita ritorno nel mio cantuccio a vivere quasi in ciel.

mercoledì 29 maggio 2013

Esattamente un secolo fa...

... andava in scena Le sacre du printemps. Non possiamo godere della grazia innaturale di Nižinskij, ma abbiamo Pina Bausch.


mercoledì 22 maggio 2013

Tanti auguri, vecchio porco!

Per festeggiare i 200 anni di Richard Wagner eccovi una piccola panoramica di preludi che spero delizieranno i vostri animi senza che sentiate il bisogno di invadere la Polonia.

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Tannhäuser, Wiener Philharmoniker diretti da von Karajan


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Parsifal, Wiener Philharmoniker, diretti da sir Georg Solti


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Gran finale col magnifico inizio di Melancholia di von Trier: Tristan und Isode, City of Prague Philharmonic Orchestra diretta da Richard Hein